sabato 20 settembre 2014

Il divorzio breve

Negli ultimi mesi si legge, più o meno ovunque, sulla stampa tecnica di settore così come su quella a più ampia diffusione, di un ampiamente diffuso consenso per il disegno di legge inerente il cosiddetto "divorzio breve". Tale ipotesi normativa prevede, come noto, l'abbassamento del periodo di tempo necessario per ottenere il divorzio che, attualmente, è di tre anni (dall'udienza presidenziale in caso di separazione giudiziale o dall'omologa del verbale nel caso di separazione consensuale). Secondo il Disegno di Legge, infatti, tale periodo verrebbe ridotto a dodici o sei mesi (a seconda dei casi) decorrenti dal deposito del ricorso per separazione. Ciò che sfugge, come spesso accade quando si affrontano le moltissime riforme con le quali il legislatore mette mano ad istituti consolidati del nostro ordinamento, è quale sia l'obiettivo che il nuovo assetto perseguirebbe. Si legge, infatti, che lo scopo sarebbe quello di ridurre i tempi per ottenere lo stato libero e, allo stesso tempo, alleggerire il carico gravante sulle sezioni dei Tribunali che si occupano delle controversie matrimoniali. Sia, però, consentito ritenere che nessuno di questi due obiettivi verrà conseguito e che vi sarebbero strumenti molto più efficaci per raggiungerli. Partiamo dalla presunta riduzione dei tempi. Le considerazioni che vanno fatte su questo punto sono di due ordini: il primo, se davvero il DdL potrà portare all'auspicata diminuzione ed il secondo inerente alle possibili conseguenze derivanti dalla riduzione stessa. Oggi ci vogliono, mediamente, sei anni per arrivare al divorzio. Difficile pensare che, nonostante la riforma, questo periodo potrà ridursi. Almeno due di quei sei anni, infatti, sono conseguenza della durata della causa di divorzio, i cui tempi non sarebbero toccati dalla normativa in discussione parlamentare. Sarebbe, quindi, stato molto più semplice ed efficace, per ridurre in modo drastico e privo delle controindicazioni che vedremo tra poco, prevedere semplicemente che, all'esito dell'udienza presidenziale di divorzio, il Presidente potesse emettere una decisione che comportasse la cessazione degli effetti civili del matrimonio (se concordatario) o lo scioglimento dello stesso (se civile), per ottenere la sperata riduzione. Diminuendo, invece, da tre ad uno gli anni di distanza tra separazione e divorzio, il DdL non ha tenuto conto di quelle che sono le problematiche, tipiche della materia, che non possono essere eliminate da un semplice tratto di penna. Sin dalla emanazione della Legge 898/1970, che tuttora disciplina la materia, i Tribunali più accorti si sono, infatti, concentrati sulla necessità di ridurre la conflittualità tra i coniugi, unico strumento per permettere che tutta la vicenda, sostanziale e processuale, si svolgesse in modo più fluido e leggero. Il DdL non tiene, per esempio, conto di quelli che sono i tipici elementi di dissidio tra i coniugi: gli aspetti patrimoniali, i diritti di visita dei figli, l'emotività che quasi sempre accompagna queste vicende. Come noto, l'assegno di separazione e quello di divorzio hanno natura completamente diversa e pensare di cambiare regime, passando dal primo al secondo in tempi così brevi, comporterà inevitabili iniquità e difficoltà per i Tribunali nel gestire le vicende familiari. Un anno è, come ben sa chiunque frequenti le aule di giustizia, un tempo troppo breve perché il coniuge economicamente più debole (tuttora molto spesso la moglie) possa trovare uno stabile assetto lavorativo che, secondo le previsioni di legge, è necessario per passare all'assetto divorzile. Allo stesso modo, passando al secondo degli aspetti, ovvero la riduzione del carico dei Tribunali, la riduzione a tempi così brevi avrà, come inevitabile conseguenza, che la causa di divorzio inizierà in situazione di emotività ancora molto accesa. In ragione di ciò, non è difficile prevedere che aumenteranno moltissimo i divorzi contenziosi, dato che molto spesso è solo il decorso del tempo a permettere che i coniugi addivengano, stemperate le tensioni iniziali, ad un divorzio congiunto. Inutile, secondo la scrivente, fare confronti con legislazioni di altri Paesi. Inutile ripetersi che i tempi di attesa per lo scioglimento del vincolo all'estero sono molto più ridotti. Come sempre, la cultura e la storia di una Nazione dovrebbero essere le stelle polari che orientano il legislatore. In Italia, il matrimonio continua ad essere una vicenda molto rilevante nelle vite delle persone ed è (anche questo) un dato di esperienza comune verificare come, nella stragrande maggioranza dei casi, ogni scioglimento di un vincolo sia un trauma, molto più di quanto accada negli USA o in Nord Europa (paragoni classici che vengono fatti in questi casi). Al di là del rimedio processuale al quale ho accennato sopra, che da solo ridurrebbe i tempi della causa, pertanto, l'unico vero veicolo per giungere ad una più rapida soluzione delle vertenze familiari sarebbe quello di valorizzare, come del resto si sta facendo in molte altre branche del diritto, il ruolo della conciliazione, della mediazione, che possa portare ad una diminuzione delle tensioni emotive e, quindi, all'accettazione da parte dei coniugi della situazione, con conseguente adozione di riti consensuali che pesano molto meno sui ruoli dei Tribunali e portano, al di là dello scioglimento o meno del vincolo, ad una serena gestione della vicenda. Diversamente, si continuerà a cercare di adottare, per il nostro Paese, soluzioni che sono del tutto inadatte al nostro tessuto storico e culturale, con inevitabile fallimento delle improvvisate riforme che il legislatore con eccessiva fretta ci sottopone. http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/dirittoCivile/famiglia/2014-08-04/divorzio-breve-114639.php

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